Miriam Sodero
EVOLUZIONE DELLA SINFONIA: DA HAYDN AD
ABBADO
Caratteri generali delle sinfonie
beethoveniano
Bisogna dire
innanzitutto che, prima di Beethoven, la sinfonia – una “tipologia compositiva”
già ampiamente frequentata da molti compositori precedenti, benché
sostanzialmente elaborata solo nella seconda metà del settecento –
rappresentava semplicemente uno dei tanti generi di consumo, spesso vorticoso,
della produzione dei singoli autori.
Ad esempio Mozart ne scrisse più di 50 e Haydn (spesso indicato nei trattati di storia della musica come il “papà della sinfonia”) ben 104.
Mozart: Sinfonia K 550 n.40 |
Ad esempio Mozart ne scrisse più di 50 e Haydn (spesso indicato nei trattati di storia della musica come il “papà della sinfonia”) ben 104.
F.
Beethoven ne scrisse, invece, solo nove e, dopo di lui, raramente i
compositori superarono tale fatidico numero, a testimonianza di quanto lo
sforzo per concepire una sinfonia fosse diventato rilevante e di quanto,
correlativamente, fossero aumentate le aspettative del pubblico verso questa
particolare forma musicale.
Qualche dato:
Schubert (pdf) (1798 -
1828) arrivò a nove sinfonie (ma una, l’ottava, è incompiuta), Mendelssohn
(1806 -1843) a cinque
(oltre alle 15 piccole sinfonie per archi scritte tra durante l’adolescenza che
sono deliziose ma non possono competere con le grandi opere della maturità),
Schumann (1810 - 1856) e Brahms (1833 - 1897) a quattro ciascuno, Ciaikovsky
(1840 - 1893) a sei, Bruckner (1824 - 1896) a nove, e Mahler (1860 - 1911) a
dieci (ma l’ultima è incompiuta).
Dmitrij Dmitrievič Šostakovič
|
Solo nel ‘900 – quando il genere si
prospettava ormai in declino, superato dalle istanze delle avanguardie – un
compositore superò il fatidico numero delle “nove sinfonie” nella propria
produzione: si tratta del russo Shostacovic (1906 – 1975), con 15 sinfonie (peraltro,
un altro russo, Prokofiev, non andò oltre la settima).
Mahler: Sinfonia n.1 Allegro maestoso |
Per dare un’idea dell’importanza che la sinfonia assunse progressivamente nella storia della musica, soprattutto con riferimento ai compositori tedeschi e della mittle-Europa, Gustav Mahler (pdf) ebbe a dire che per il suo creatore (e per l’ascoltatore) ogni sinfonia è come un mondo le cui singole parti rappresentano i continenti. Inoltre, scomparso Beethoven, il pubblico e la critica di cultura tedesca si interrogarono su chi fosse il suo “erede” in campo sinfonico, alimentando un dibattito che oggi può apparire perfino curioso, soprattutto per le polemiche che contrapponevano a Brahms “il classicista”, Bruckner “il wagneriano”.
J. Brahms
A. Bruckner
Brahms: Sinfonia op. 68 n.1 allegro |
Ad esempio la prima sinfonia di Brahms, pure arrivato piuttosto tardi ad affrontare questo genere, fu entusiasticamente presentata da un critico musicale del tempo come “la decima di Beethoven”, per sottolinearne il valore artistico nel solco della “vera” tradizione sinfonica. In effetti l’ultimo movimento della sinfonia sfrutta un tema che ricorda da vicino la melodia del finale della nona di Beethoven.
La fortuna delle
sinfonie beethoveniane – in tempi moderni ulteriormente agevolata dai mezzi
meccanici e digitali di registrazione, riproduzione e diffusione – già nell’800 (pdf)era molto ampia. Ne è testimonianza non solo la loro presenza nei programmi dei
concerti ma, anche, l’elevato numero di “riduzioni” delle relative partiture orchestrali
per pianoforte (sia a due sia a quattro mani) che consentiva la fruizione
“casalinga” di tali opere, in periodi nei quali i mezzi di riproduzione di
massa erano ancora di là da venire.
Alcune di tali riduzioni erano di modesta
fattura ma altre erano di così elevato livello artistico (per esempio quelle di
Listz (pdf)) che, a loro volta, entrarono nel repertorio dei concertisti più famosi
quasi come opere autonome, favorendo ulteriormente la circolazione delle nove
sinfonie. Inoltre, la letteratura musicale dell’epoca, soprattutto da camera e
segnatamente pianistica, è zeppa di “parafrasi da concerto” o di variazioni
composte sui temi delle nove sinfonie, a ulteriore testimonianza della loro
popolarità.
Dalla metà
dell’800, infine, tutti i grandi direttori d’orchestra (una figura che proprio
in quel periodo si affermò in ambito esecutivo) si cimentarono e si
confrontarono con il ciclo Beethoveniano. A parte lo stesso Mahler, che in vita
fu più celebrato come direttore che come
compositore, grandi interpreti del ciclo furono Hans von Bulow (il primo
grandissimo direttore dei
“Berliner”) e lo stesso Wagner(pdf).
Nel primo ‘900 hanno lasciato il loro segno interpretativo,
tra gli altri, Toscanini, Furtwangler, Walter, De Sabata, Klemperer e, nel secondo
dopoguerra, limitandosi a citare solo i più celebri, Bernstein e Karajan.
Toscanini - Beethoven Symphony n. 5
Quest’ultimo, a
sua volta, quasi si identificò con il ciclo sinfonico che ci occupa, incidendo l’integrale
almeno quattro volte, per lasciare la propria testimonianza sui nuovi supporti tecnologici
via via più evoluti (dal 78 giri al DVD): abbiamo così una testimonianza dell’evoluzione
interpretativa di un grande direttore lungo circa mezzo secolo.
In tempi più
recenti, ricordiamo l’integrale di Abbado scomparso recentemente e le esecuzioni di Kleiber (figlio). Si segnalano anche le versioni filologiche che hanno ripreso i testi originali,
depurandoli delle stratificazioni apportate dalla tradizione dei grandi
direttori citati e riesumando le prassi esecutive originali; faccio
riferimento, in particolare, alle interessanti esecuzioni di Harnoncourt,
Gardiner e Bruggen.
Claudio Abbadio: Beethoven Sinfonia no. 5
Soffermandoci su
Beethoven, dobbiamo ricordare che giunse
relativamente tardi a interessarsi di questo genere: la prima sinfonia fu
composta quando aveva già trent’anni e aveva al suo attivo già numerose
composizioni per pianoforte e per musica da camera, piuttosto celebri. Inoltre,
la produzione delle sinfonie fu, da quel momento, abbastanza ben distribuita
lungo la sua vita artistica, a testimonianza della rilevanza che tale genere
riveste nella sua opera complessiva.
Dal punto di
vista della prassi compositiva, già la critica musicale ottocentesca aveva individuato
tre “stili” o “maniere” della produzione Beethoveniana. Semplificando e riassumendo,
il “primo stile” abbraccia le composizioni giovanili (fino alla seconda
sinfonia inclusa) e si caratterizza per i debiti verso la tradizione, soprattutto
allo stile di Haydn. La seconda maniera è quella “eroica”, nella quale Beethoven,
dai primi anni dell’800, è chiaramente influenzato dagli ideali napoleonici e
romantici: nelle composizioni di questo periodo, elabora e presenta un proprio
inconfondibile stile, caratterizzato dal massimo sviluppo della dialettica
presente nella forma sonata. Appartengono a questo periodo le sinfonie dalla
terza alla sesta compresa e, per certi versi, anche l’ottava.
Successivamente,
lo stile di Beethoven si allontana sempre di più dalla tradizione e diventa
anche un po’ incomprensibile ai suoi contemporanei. Il “terzo stile” è
caratterizzato da un’estrema raffinatezza, dalla concisione (da non intendersi
nel senso della durata delle composizioni), da astrattezza e da arditezze
nell’uso dei mezzi compositivi. Famosa a tal proposito la frase di un grande
pianista ottocentesco che riteneva “ineseguibili” le ultime sonate per
pianoforte; parimenti è noto che Beethoven non riuscì a pubblicare uno degli
ultimi quartetti per archi nella forma originariamente concepita, perché il suo
editore chiese (ed ottenne) di sostituirne il finale giudicato “indigeribile”
per l’epoca. Appartiene pienamente a questo periodo solo la nona sinfonia mentre
la settima può essere, forse, considerata di transizione tra il secondo e il
terzo stile. Un discorso a parte merita l’ottava sinfonia (contemporanea alla
settima) con la quale Beethoven sembra voler consciamente sperimentare una
specie di ritorno al passato, in chiave quasi parodistica.
In tale
contesto, la collocazione delle sinfonie nell’ambito del corpus beethoveniano è
peculiare: si tratta, come abbiamo visto, di composizioni di notevole
importanza nella sua produzione artistica; tuttavia sarebbe sbagliato pensare che
rappresentino “la frontiera” dell’opera del compositore. È vero, invece, che
nelle sinfonie, anche in quelle più sperimentali (come la terza o la nona), in
un certo senso Beethoven consolida e acquisisce definitivamente le conquiste
propugnate in altri generi, soprattutto le sonate per pianoforte (che sono 32)
e i quartetti per archi (che sono 18). Non è un caso, quindi che le sinfonie
abbiano conosciuto la fortuna della quale si diceva.
che le formano.
solo un pdf?
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