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venerdì 24 gennaio 2014

2. Miriam Sodero EVOLUZIONE DELLA SINFONIA: DA HAYDN AD ABBADO



Miriam Sodero


EVOLUZIONE DELLA SINFONIA: DA HAYDN AD ABBADO
Caratteri generali delle sinfonie beethoveniano


Bisogna dire innanzitutto che, prima di Beethoven, la sinfonia – una “tipologia compositiva” già ampiamente frequentata da molti compositori precedenti, benché sostanzialmente elaborata solo nella seconda metà del settecento – rappresentava semplicemente uno dei tanti generi di consumo, spesso vorticoso, della produzione dei singoli autori. 
Mozart: Sinfonia K 550 n.40

Ad esempio Mozart ne scrisse più di 50 e Haydn (spesso indicato nei trattati di storia della musica come il “papà della sinfonia”) ben 104. 




F. J. HAYDN: Sinfonia n. 101 in re maggiore "L'orologio" 

 Haydn Symphony No 88 G major, Bernstein Wiener Philarmoniker


Beethoven ne scrisse, invece, solo nove e, dopo di lui, raramente i compositori superarono tale fatidico numero, a testimonianza di quanto lo sforzo per concepire una sinfonia fosse diventato rilevante e di quanto, correlativamente, fossero aumentate le aspettative del pubblico verso questa particolare forma musicale.

Qualche dato:
Schubert (pdf) (1798 - 1828) arrivò a nove sinfonie (ma una, l’ottava, è incompiuta), Mendelssohn
(1806 -1843) a cinque (oltre alle 15 piccole sinfonie per archi scritte tra durante l’adolescenza che sono deliziose ma non possono competere con le grandi opere della maturità), Schumann (1810 - 1856) e Brahms (1833 - 1897) a quattro ciascuno, Ciaikovsky (1840 - 1893) a sei, Bruckner (1824 - 1896) a nove, e Mahler (1860 - 1911) a dieci (ma l’ultima è incompiuta). 
Dmitrij Dmitrievič Šostakovič

Solo nel ‘900 – quando il genere si prospettava ormai in declino, superato dalle istanze delle avanguardie – un compositore superò il fatidico numero delle “nove sinfonie” nella propria produzione: si tratta del russo Shostacovic (1906 – 1975), con 15 sinfonie (peraltro, un altro russo, Prokofiev, non andò oltre la settima).














Mahler: Sinfonia n.1 Allegro maestoso






Per dare un’idea dell’importanza che la sinfonia assunse progressivamente nella storia della musica, soprattutto con riferimento ai compositori tedeschi e della mittle-Europa, Gustav Mahler (pdf) ebbe a dire che per il suo creatore (e per l’ascoltatore) ogni sinfonia è come un mondo le cui singole parti rappresentano i continenti. Inoltre, scomparso Beethoven, il pubblico e la critica di cultura tedesca si interrogarono su chi fosse il suo “erede” in campo sinfonico, alimentando un dibattito che oggi può apparire perfino curioso, soprattutto per le polemiche che contrapponevano a Brahms “il classicista”, Bruckner “il wagneriano”.


 










J. Brahms
             A. Bruckner

Brahms: Sinfonia op. 68 n.1 allegro

 Ad esempio la prima sinfonia di Brahms, pure arrivato piuttosto tardi ad affrontare questo genere, fu entusiasticamente presentata da un critico musicale del tempo come “la decima di Beethoven”, per sottolinearne il valore artistico nel solco della “vera” tradizione sinfonica. In effetti l’ultimo movimento della sinfonia sfrutta un tema che ricorda da vicino la melodia del finale della nona di Beethoven.
La fortuna delle sinfonie beethoveniane – in tempi moderni ulteriormente agevolata dai mezzi meccanici e digitali di registrazione, riproduzione e diffusione – già nell’800 (pdf)era molto ampia. Ne è testimonianza non solo la loro presenza nei programmi dei concerti ma, anche, l’elevato numero di “riduzioni” delle relative partiture orchestrali per pianoforte (sia a due sia a quattro mani) che consentiva la fruizione “casalinga” di tali opere, in periodi nei quali i mezzi di riproduzione di massa erano ancora di là da venire. 



Alcune di tali riduzioni erano di modesta fattura ma altre erano di così elevato livello artistico (per esempio quelle di Listz (pdf)) che, a loro volta, entrarono nel repertorio dei concertisti più famosi quasi come opere autonome, favorendo ulteriormente la circolazione delle nove sinfonie. Inoltre, la letteratura musicale dell’epoca, soprattutto da camera e segnatamente pianistica, è zeppa di “parafrasi da concerto” o di variazioni composte sui temi delle nove sinfonie, a ulteriore testimonianza della loro popolarità.
Dalla metà dell’800, infine, tutti i grandi direttori d’orchestra (una figura che proprio in quel periodo si affermò in ambito esecutivo) si cimentarono e si confrontarono con il ciclo Beethoveniano. A parte lo stesso Mahler, che in vita fu più celebrato come direttore che come compositore, grandi interpreti del ciclo furono Hans von Bulow (il primo grandissimo direttore dei “Berliner”) e lo stesso Wagner(pdf). 


Nel primo ‘900 hanno lasciato il loro segno interpretativo, tra gli altri, Toscanini, Furtwangler, Walter, De Sabata, Klemperer e, nel secondo dopoguerra, limitandosi a citare solo i più celebri, Bernstein e Karajan.



 Toscanini - Beethoven Symphony n. 5

 Karajan - Beethoven Symphony No. 5


Quest’ultimo, a sua volta, quasi si identificò con il ciclo sinfonico che ci occupa, incidendo l’integrale almeno quattro volte, per lasciare la propria testimonianza sui nuovi supporti tecnologici via via più evoluti (dal 78 giri al DVD): abbiamo così una testimonianza dell’evoluzione interpretativa di un grande direttore lungo circa mezzo secolo.

 In tempi più recenti, ricordiamo l’integrale di Abbado scomparso recentemente e le esecuzioni di Kleiber (figlio). Si segnalano anche le versioni filologiche che hanno ripreso i testi originali, depurandoli delle stratificazioni apportate dalla tradizione dei grandi direttori citati e riesumando le prassi esecutive originali; faccio riferimento, in particolare, alle interessanti esecuzioni di Harnoncourt, Gardiner e Bruggen.






Claudio Abbadio: Beethoven Sinfonia no. 5


Soffermandoci su Beethoven, dobbiamo ricordare che  giunse relativamente tardi a interessarsi di questo genere: la prima sinfonia fu composta quando aveva già trent’anni e aveva al suo attivo già numerose composizioni per pianoforte e per musica da camera, piuttosto celebri. Inoltre, la produzione delle sinfonie fu, da quel momento, abbastanza ben distribuita lungo la sua vita artistica, a testimonianza della rilevanza che tale genere riveste nella sua opera complessiva.
Dal punto di vista della prassi compositiva, già la critica musicale ottocentesca aveva individuato tre “stili” o “maniere” della produzione Beethoveniana. Semplificando e riassumendo, il “primo stile” abbraccia le composizioni giovanili (fino alla seconda sinfonia inclusa) e si caratterizza per i debiti verso la tradizione, soprattutto allo stile di Haydn. La seconda maniera è quella “eroica”, nella quale Beethoven, dai primi anni dell’800, è chiaramente influenzato dagli ideali napoleonici e romantici: nelle composizioni di questo periodo, elabora e presenta un proprio inconfondibile stile, caratterizzato dal massimo sviluppo della dialettica presente nella forma sonata. Appartengono a questo periodo le sinfonie dalla terza alla sesta compresa e, per certi versi, anche l’ottava.
Successivamente, lo stile di Beethoven si allontana sempre di più dalla tradizione e diventa anche un po’ incomprensibile ai suoi contemporanei. Il “terzo stile” è caratterizzato da un’estrema raffinatezza, dalla concisione (da non intendersi nel senso della durata delle composizioni), da astrattezza e da arditezze nell’uso dei mezzi compositivi. Famosa a tal proposito la frase di un grande pianista ottocentesco che riteneva “ineseguibili” le ultime sonate per pianoforte; parimenti è noto che Beethoven non riuscì a pubblicare uno degli ultimi quartetti per archi nella forma originariamente concepita, perché il suo editore chiese (ed ottenne) di sostituirne il finale giudicato “indigeribile” per l’epoca. Appartiene pienamente a questo periodo solo la nona sinfonia mentre la settima può essere, forse, considerata di transizione tra il secondo e il terzo stile. Un discorso a parte merita l’ottava sinfonia (contemporanea alla settima) con la quale Beethoven sembra voler consciamente sperimentare una specie di ritorno al passato, in chiave quasi parodistica.
In tale contesto, la collocazione delle sinfonie nell’ambito del corpus beethoveniano è peculiare: si tratta, come abbiamo visto, di composizioni di notevole importanza nella sua produzione artistica; tuttavia sarebbe sbagliato pensare che rappresentino “la frontiera” dell’opera del compositore. È vero, invece, che nelle sinfonie, anche in quelle più sperimentali (come la terza o la nona), in un certo senso Beethoven consolida e acquisisce definitivamente le conquiste propugnate in altri generi, soprattutto le sonate per pianoforte (che sono 32) e i quartetti per archi (che sono 18). Non è un caso, quindi che le sinfonie abbiano conosciuto la fortuna della quale si diceva.
che le formano.

 Ad alcune sinfonie è stato tradizionalmente attribuito “un nome”. Tranne nel caso della sesta, tale denominazione è apocrifa (nel senso che non è in partitura né si sa con certezza se l’autore l’abbia mai approvata) ma viene comunque utilizzata nei programmi di sala. La quinta sinfonia viene da qualcuno denominata “del destino” ma, a differenza delle denominazioni attribuite ad alcune altre sinfonie, oltre ad essere certamente apocrifa, è assolutamente inappropriata e frutto di fantasia. Le sinfonie sono anche distinte dalla “tonalità” di impianto, e dal “numero d’opera” – pure riportato– che è il numero d’ordine attribuito dall’editore al momento della prima pubblicazione ma non sempre riflette la successione cronologica di composizione.

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