POST2 ADALBERTO BAGLIVO
Così fan tutte è
un’opera lirica in due atti, senza ombra di dubbio tra le più amate e celebrate
del celebre compositore Wolfgang
Amadeus Mozart. Cronologicamente, si colloca tra le cosiddette
opere italiane, la terza scritta dall’artista di Salisburgo, su libretto di
Lorenzo da Ponte (FILE PDF). Al Burgtheater di Vienna, il 26 gennaio 1790, viene per la
prima volta rappresentata l’opera, quasi al termine di quello che verrà poi
definito come il noto decennio d’oro del grande compositore austriaco, poco
prima della sua dipartita.
Al centro della vicenda, domina il tema amoroso,
naturalmente. Da una parte v’è la caducità e la superficialità dell’amore
femminile, messo alla prova da un classico scambio delle parti, tale da
evidenziare quanto si dice in uno dei versi dell’opera, tra i più noti: “È la fede delle femmine come l’Araba fenice: che vi
sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa!”.
Dall’altra parte invece, c’è l’amore visto al maschile, più maturo secondo
l’autore, in grado di esibire il perdono, ma appunto come mera esibizione, nel
rispetto e in ossequio – quando non obbligo – di quelle convenzioni sociali
ancora piuttosto tetre e inalterabili, sempre secondo l’idea del compositore.
L’opera arriva proprio sul finire di quel decennio
considerato magico per Mozart, nel quale vedono la luce alcuni dei migliori lavori
dell’intera storia della musica lirica. Il compositore ha perso per sempre
Aloysia, la sua amata, e ha ripiegato sulla sorella, Costanza. L’esito di
questo momento, è tratteggiato nell’opera “Il ratto del serraglio”, sorta di
tentativo liminare di dare vita ad un vero e proprio dramma lirico tedesco.
Molto deve, in questo periodo, all’italiano Lorenzo da Ponte, poeta ufficiale
del Teatro di Vienna, librettista importante, il quale lo incoraggia ad aprirsi
sempre di più al teatro, dopo i ripiegamenti nei quartetti dei primi anni ’80.
Risultato di questo binomio lavorativo è la rappresentazione delle “Nozze di Figaro”, andata in scena prima a Vienna e poi
a Praga, la quale costituì un vero trionfo per Mozart. Nonostante i tentavi dei
suoi vari detrattori e rivali, tra i quali il noto Salieri (FILE PDF), il direttore del
teatro di Praga, Bondini, gli affida l’incarico di scrivere un’opera per la
stagione seguente: il “Don Giovanni”. È, ancora una volta, un “Don Giovanni
italiano”, marcato dalla mano del Da Ponte, il quale anima l’opera d’un senso
autobiografico: ne viene fuori una vera e propria commedia, varia e guizzante,
che Mozart rende equilibrata ed esalta all’ennesima potenza, evidenziando la
vivacità dei personaggi e delle situazioni.
È una commedia (FILE PDF), come detto, stando almeno al registro
e ai temi, ma sembra anche l’annuncio ufficiale del mondo romantico che sta
arrivando. Ed è anche e soprattutto un’opera lunga, nel suo lavorio, che Mozart comincia
ufficialmente nel 1787, per terminare praticamente soltanto alla vigilia della
prova generale, il 28 ottobre: fu un successo straordinario. Il compositore
perde suo padre, ma a Vienna gli viene tributato il dovuto con la nomina a
“Kammermusikus dell’imperatore” e la rappresentazione del Don Giovanni nella
capitale austriaca, il 7 maggio del 1788. Il pubblico di casa però, come spesso
accade, è tiepido, e Wolfgang riparte per la Germania, al seguito del principe
Lichnowsky. Passano un paio d’anni e, senza cedere alle lusinghe del re Federico
Guglielmo II, Mozart torna
in patria e accetta, da Giuseppe II, di scrivere la sua nuova opera, dal titolo
“Così fan tutte, ossia La Scuola degli
amanti”, anch’essa su libretto del Da Ponte.
Ma come accade a molti geni, il pubblico e le contingenze si rivelano ostili e
anche questa rappresentazione, la prima andata in scena, come suddetto, nel
gennaio del 1790, non viene accolta nel migliore dei modi. Inoltre, nel
medesimo periodo, arriva anche la morte di Giuseppe II, che di certo non è di
buon auspicio per la carriera dell’artista viennese. Ci vorrà Leopoldo II e,
soprattutto, l’opera “Il flauto magico”, successivamente, a restituire la
giusta notorietà a Mozart,
riportandolo ai suoi successi e dando modo e tempo a pubblico e critica
austriaca di ricredersi, e tanto, anche sui suoi vecchi lavori, su tutti la
stessa opera “Così fan tutte”.
overture cosi fan tutte
L’intreccio e i personaggi
Il core vi dono |
L’antefatto
I
due militari Ferrando e Guglielmo sono in un caffè di Napoli, al cospetto di
Don Alfonso. Entrambi raccontano della bellezza delle due sorelle e vantano la
loro fedeltà, nonostante il filosofo che è con loro, affermi invece che in
materia femminile, la parola fedeltà non si sa dove sia. L’onore delle due
donne, Dorabella e Fiordiligi, viene messo in discussione e prontamente, i due
fidanzati sfidano a duello Don Alfonso. Questi però, ha un’altra soluzione:
cento zecchini per provare loro che le fidanzate non sono diverse dalle altre.
I due uomini dovranno attenersi alle regole che imporrà il filosofo, se davvero
vogliono contraddire la sua teoria.
Al fronte
Don
Alfonso si accorda con la serva di casa delle due sorelle, Despina: entrambi
fanno in modo che le due donne credano che i loro rispettivi fidanzati sono
stati richiamati al fronte. Passa poco tempo e due ufficiali albanesi si
presentano ai piedi di Fiordiligi e Dorabella: sono Tizio e Sempronio, ma altri
non sono che i due fidanzati reali, travestiti. Questi vengono inizialmente
respinti, le due sorelle si dichiarano fedeli e causano così, il loro suicidio
per amore. In realtà, è una trovata anche questa, la quale permette ai due
agonizzanti di presentarsi davanti alle esterrefatte sorelle, le quali iniziano
a provare per loro compassione. Il medico che li riporta in vita, è Despina,
anch’ella travestita – Don Alfonso è in combutta con lei e le ha promesso dei
soldi se l’avesse aiutato nell’impresa – e l’evento porta i due ufficiali a
rinnovare ancora di più il loro amore.
La notte sul mare
Despina
convince le due sorelle: “sarà un gioco” dice loro, e la gente crederà che i
due spasimanti sono lì per lei. Viene organizzata una serenata alle dame, sul
mare, nel giardino. Fiordiligi e Ferrando allora, si allontanano, suscitando
così la gelosia di Guglielmo, che offre un regalo a Dorabella e riesce a
conquistarla. Quest’ultima cede per prima e convince, poi, Fiordiligi stessa,
una volta in casa, a fare altrettanto. Tocca a lei, allora, travestirsi: con
gli abiti di un ufficiale, raggiunge il promesso sposo sul campo di battaglia
ma viene fermata da Ferrando stesso, ancora una volta, il quale finisce per
conquistarla davanti agli occhi di Guglielmo, il suo promesso.
Così fan tutte
Guglielmo
è furente ma anche Ferrando odia la sua ex donna, entrambi sono stati delusi.
Don Alfonso ha da impartire il proprio insegnamento, forte di aver ottenuto
quello che voleva e anzi, li esorta a finire la commedia con doppie nozze:
tanto, come sostiene dando loro delle “cornacchie spennacchiate”, una donna
vale l’altra. La colpa non è delle due sorelle in questione, sostiene poi il
filosofo, ma è della stessa natura… “se così fan tutte”. Alla fine, i due veri
cavalieri irrompono durante le finte nozze organizzate da Despina e mandano in
fuga i due amanti albanesi, i quali altri non sono che loro stessi, nel
frattempo nascosti (per sempre) dalle due donne. L’atto termina con il
matrimonio delle due coppie legittime.
Bernhard Paumgartner (Analisi di personaggi e
situazioni; recitativo; orchestrazione; libretto; rapporto con «Le Nozze di
Figaro» e «Don Giovanni»)
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Il primo atto si svolge in modo piú
sciolto, piú buffo degli altri. Un allegro movimento di gruppi, uno spontaneo
abbandonarsi alla gioia della musica vengono in primo piano. Già fin
dall'esposizione, dal succedersi dei tre terzetti virili (nn. 1, 2, 3), si
può capire come in quest'atto si sia voluto contrapporre l'impulsività dei
due giovani innamorati alla riflessiva aridità di Alfonso, e non tanto
presentare caratteri nettamente disegnati. Conseguentemente, anche il
civettuolo duetto con cui esordiscono le due ragazze (n. 4) non è che un
delizioso bozzetto di due donnine frivole e innamorate. Soltanto col
procedere dell'azione le varie personalità a poco a poco si differenziano e
si fanno riconoscibili: Dorabella, allegra e senza scrupoli, Guglielmo, il
sorridente «routinier», Fiordiligi, sensibile ed estrosa, Ferrando, il suo
«partner», sentimentale e sanguigno. Ma una tagliente ironia lascia
sussistere quest'ordine naturale delle coppie soltanto per il breve corso
della commedia di scambi, riversando implicitamente la corresponsabilità
delle pericolose confusioni sul fallace arbitrio della vita reale, sulla
società, insomma.
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L'umorismo è anche la piú preziosa qualità di Despina.
Le sue due arie (nn. 12 e 19) sono incantevoli chiacchierate; e nei
concertati ella sa reggere i fili della vicenda amorosa con invidiabile
obiettività. Di questo personaggio, un tipo molto popolare nella commedia
dell'arte dalla Serva padrona (FILE PDF) di Pergolesi in poi, Mozart aveva già creato
una variante con la Serpetta della «Finta giardiniera». E non è senza un
fondato motivo che sia lei sia Alfonso, gli esponenti dell'antico
sentimentalismo della opera buffa (FILE PDF), manchino di calore affettivo, perché ciò
rende maggiormente efficace il destarsi di sentimenti profondi negli altri
quattro personaggi. I quali, benché dapprincipio appaiano ancora piú amorfi
del loro burattinaio, diverranno a poco a poco, nel respiro vivificatore
della musica, gli annunziatori del nuovo rivolgimento verificatosi nel
patrimonio degli antichi valori teatrali.
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Questo mutamento avviene per gradi, in un ben dosato
crescendo, prima di toccare il punto culminante nell'ultimo duetto del
secondo atto (n. 29). I primi, esagerati accenti di disperazione delle
ragazze dopo il lacrimoso congedo dagli amanti (atto I, arie nn. 11 e 14)
conservano ancora gli atteggiamenti ultrapatetici dell'opera seria italiana.
Ma già fin d'ora si può notare una certa differenziazione dei due caratteri:
fra il tono esaltato, teatrale, di Dorabella e la comica serietà di Fiordiligi,
la cui natura di eroina (un po' simile a quella di Elvira) pare sentire la
solennità piuttosto come affettazione che non come fatto interiore.
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Nel variopinto intreccio di sentimenti della commovente scena del
congedo (atto I, quintetto e terzettino, nn. 6, 9, 10) già aflfiorano
emozioni piú intense, ma soltanto in maniera allusiva. La caustica secchezza
di Alfonso impedisce, per fortuna, un prematuro capovolgimento degli stati
d'animo. Poiché l'azione vera e propria, la burla che ha dato spunto alla
commedia, incomincia soltanto all'apparire degli innamorati travestiti, con
l'elegante sestetto (n. 13).
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Dovrà ora scatenarsi la folle mascherata galante e
sconvolgere a tal segno la mente dei fatui e spensierati personaggi, uomini e
donne, da porli infine, con un senso di sgomento, innanzi alla gravità dei
fatti provocati dalla sfrenatezza dei loro stessi istinti. Ma con quale
finezza di intuito teatrale sono collocate negli incalzanti sviluppi del
primo atto, le due perle dell'opera, i due pezzi d'assieme staticamente
lirici, il quintetto del commiato (n. 9: «Di scrivermi ogni
giorno»), sommessamente lieto, con le battute mormorate «a parte», fra i
denti, da Alfonso («Io crepo se non rido»), e lo stupendo terzettino (n.
10: «Soave sia il vento») che quasi immediatamente segue!
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Il primo atto si chiude dunque senza scostarsi
dall'ambito dell'opera buffa, né nella petulante risata del terzetto virile
(n. 16), né nello scorrevole finale (n. 18). La caleidoscopica varietà dei
raggruppamenti e la drasticità degli scherzi devono supplire alla mancanza di
personaggi e di intrighi nuovi che intervengano ad accrescere l'interesse. La
compassione delle ragazze per i presunti suicidi per amore si è già
impercettibilmente mutata in simpatia ma, nel momento critico
dell'incertezza, la balorda indiscrezione dei due tangheri le induce a
riflessione. A questo punto, per confondere la situazione e creare i
presupposti necessari al proseguimento della vicenda, non rimaneva che
ricorrere all'esplosione di collera delle due dame deluse, inserendola nel
turbinoso vortice della consueta «stretta» finale.
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Anche il secondo atto si mantiene per un
certo tempo sullo stesso terreno. La curiosità di sensazioni nuove ha reso le
due sorelle piú condiscendenti, ma soltanto nell'aderire a un giochetto
galante non tale da farle venir meno ai loro doveri di oneste fidanzate. Cosí
il loro gaio duetto (n. 20) può conservare il tono rilassato del pezzo ad
esso corrispondente nel primo atto (n. 4). Ma l'intermezzo della bella serenata
per fiati e coro (n. 21) dà felicemente l'avvio alla nuova piega della
vicenda. Con questo omaggio, i due pretendenti travestiti sono riapparsi in
scena. Il brevissimo quartetto seguente (n. 22) è ancora nello spirito
dell'opera buffa piú genuina, spirito abilmente alimentato da Alfonso e
Despina che mostrano di essere i paraninfi ideali per quei loro clienti tutti
chiusi in un ben simulato (o forse un poco anche vero) imbarazzo. Esitando,
balbettando, i cavalieri cadono nella trappola delle frasi galanti, mentre le
dame attendono in silenzioso riserbo. Ma quando alfine le coppie, lasciate
sole dai loro intermediari, si ritrovano, le mani nelle mani, confuse e
smarrite, la comica situazione assume all'improvviso un significato ben piú
profondo. Perché proprio qui, dove la costruzione del libretto fallisce in
pieno, incomincia a risplendere in tutta la sua bellezza il prodigio
vivificatore della musica.
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Da Ponte voleva logicamente far seguire un secondo e
piú fortunato tentativo di seduzione a quello irruente e infelice con cui si
era concluso il primo atto; ma questa intenzione fu meglio pensata che
realizzata. Il secondo atto non è piú un vario succedersi di concertati,
bensí una stanchevole sequenza di pezzi solistici. Ma proprio a questo punto,
drammaticamente il piú fiacco dell'opera, Mozart inattesamente interviene a
rianimare gli anemici personaggi del librettista, riversando in loro tutto il
calore dell'anima sua. E quanto piú questi, trascinati dalla potenza di un
sentire sincero, paiono dimenticare l'originaria natura, tanto piú evidente
appare l'abisso che separa l'opera buffa di Mozart dai suoi modelli
stereotipati. Apprezzamenti critici posteriori credettero di scorgere in
questa irruzione di elementi sentimentali piú profondi, di opera giocosa,
nell'opera buffa una minaccia a una forma melodrammatica convalidata dal
tempo; senza riflettere che soltanto cosí l'organizzazione interiore
mozartiana dell'opera, e con essa l'unicità del suo significato,
prodigiosamente connesso con l'evoluzione artistica dell'autore, poteva
conservarsi intatta.
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Il cardine dell'interessantissimo rivolgimento
psicologico è costituito dai due duetti delle coppie scambiate (nn. 23 e 29);
e fra questi passano cinque pezzi solistici che, per così dire, riflettono il
medesimo sentimento nell'animo dei quattro diversi tipi di innamorati. Nel
primo dei duetti (n. 23) la piú arrendevole Dorabella cede alla mondana
scaltrezza di Guglielmo.
La cosa riesce piú difficile a Ferrando. Il suo
ardente sfogo (aria n. 24) lo trascina al punto da fargli dimenticare se
stesso e ogni finzione; e quel trasporto di passione sincera riesce a toccare
il cuore di Fiordiligi piú profondamente di qualsiasi artificio teatrale. Ce
ne renderemo subito conto dall'agitazione con cui la fanciulla rimasta sola
piangerà per l'amato lontano (n. 25). I passaggi dell'allegro seguente
tendono però a ricondurci verso una realtà piú distensiva. A questo punto lo
sfrontato atteggiamento di superiorità di Guglielmo risulta molto ameno:
orgoglioso di avere una fidanzata fedele, egli malignamente si compiace di
far trasecolare l'amico annunziandogli l'infedeltà di Dorabella. Ben diverso
appare lo schietto dolore di Ferrando nel forte recitativo «accompagnato» che
precede la Cavatina (n. 27), fervida premessa allo stupendo duetto (n. 29),
formalmente assai libero, durante il quale anche Fiordiligi finisce col
cedere alle implorazioni del suo adoratore, abbandonandosi, immemore di
tutto, all'estasi di una felicità nuova.
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Il breve riassunto del vecchio cinico Alfonso (n.
30) che si conclude con la maliziosa morale: «Cosí son tutte», già accennata
nell'ouverture, ci riporta nel mondo freddo e razionale dell'opera buffa. Il
contrasto è felice. Ciò nondimeno l'intimo palpito di un amore oblioso torna
ad effondersi dal sublime canone del secondo finale (larghetto, n. 31 ) che
in un certo senso ci richiama al finale del Figaro («Contessa, perdono»).
Soltanto l'atteggiamento antitetico di Guglielmo, il navigato uomo di mondo,
impedisce che in questo momento la scena volga decisamente al tono serio. Con
l'entrata di Despina travestita da notaio, la farsa riaccampa definitivamente
i suoi diritti ed esige un rapido scioglimento dell'imbroglio. Ma lo stesso
«allegro molto», scaturito dalla contenuta espressività del « sotto voce»,
come nel «Figaro», anziché congedare l'uditore con la molesta chiassosità
dell'opera buffa lascerà in lui una pensosità conciliante e serena.
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L'importanza preminente dei pezzi d'assieme su
quelli solistici si nota pure nei recitativi. Perfino il «secco» è
talvolta trattato a piú voci, nel tono scorrevole, arguto, accentuato,
dell'opera buffa. Gli andamenti espressivi dei bassi ne accrescono ancora,
qua e là, la vivezza. L'inserzione di numerosi «accompagnati» e una loro piú
stretta coesione con i pezzi chiusi additano digià alle scene parlate del
«Flauto magico» e, oltre ancora, al non piú lontano ideale dell'opera
musicata per intero.
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L'introduzione lenta dell'ouverture propone il
titolo musicale in modo quasi misterioso, come se la possibilità di uno
svolgimento serio del tema fosse ancora in discussione. Decide della cosa il
«presto» seguente, un tempo di sonata liberamente trattato, con l'impiego
dell'idea principale nel gruppo secondario, affine, per vivacità,
all'ouverture del «Figaro» anche se tematicamente non altrettanto incisivo.
Quel non so che di inconsistente, di irreale, della vicenda si riflette anche
nei colori cangianti dello sviluppo fortemente modulante. Nella coda riappare
ancora una volta il «motto», il titolo dell'opera, come un discreto
interrogativo. Risponderà con inequivocabile chiarezza la piena orchestra.
Ridacchiando, il tema principale sancisce il perentorio dato di fatto, per
subito lanciarsi, su un inebriante crescendo, nel festoso «fortissimo» delle
battute conclusive.
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All'orchestra, importantissimo elemento di forza
drammatica, sono qui riservati compiti assai grati. Dopo il piú aspro
linguaggio sonoro del «Don Giovanni», è ora la bellezza timbrica del «Figaro»
che ritrova una nuova, forse ancor piú eterea, perfezione. Balzano in primo
piano certe consuetudini italiane, come l'elastica adattabilità del periodo,
la tendenza agli effetti descrittivi e al gioco aforistico con piccoli temi.
Per contro, la trattazione dei fiati risulta piú moderna e personale.
L'impiego di strumenti solistici concertanti, come nella seconda aria di
Fiordiligi (n. 25), potrebbe ricondursi all' Idomeneo (FILE PDF); ma l'amalgama dei
colori è diventato piú morbido. La calda sensualità del clarinetto si fa espressiva
interprete dei sentimenti d'amore, mentre la voce piú asprigna dell'oboe
accompagna di preferenza il sarcasmo di Alfonso. La gioia di riprodurre in
orchestra l'architettura scenica, vale a dire un impulso puramente formale,
conferisce al quadro della partitura una sua nota tutta speciale. Una piú
accentuata differenziazione dei raggruppamenti strumentali crea momenti di
squisita modernità. Si consideri il tono prettamente serenatistico del
quartetto (n. 22) e della precedente serenata per fiati appartenente al
delizioso duetto con coro (n. 21): questi due pezzi si direbbero il tempo
centrale e finale di una «Abendmusik» (serenata) galante.
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Se il sanguigno fervore del «Figaro», se la
superumanità di «Don Giovanni» tendevano fin da principio a scostarsi dal
genere ornamentale della tradizione per entrare nel mondo della vita vera,
«Cosí tan tutte», lieve gioco satirico, evanescente condusione del
meraviglioso trittico di amore, ci riconduce sorridendo alla commedia di tipi
stilizzata, svincolata da condizioni di tempo e di luogo.
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Non per nulla, delle tre opere questa è la meno
legata ai cambiamenti di scena (tradizionali nell'opera buffa) prescritti dal
librettista. Notevoli riedizioni recenti hanno dimostrato come sia possibile
rappresentarla con un'unica scena senza comprometterne il significato
originario. Alla sola condizione, però, di non turbarne l'olimpica, quasi
geometrica, simmetria strutturale.
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