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domenica 23 febbraio 2014

[post5] Giuseppe Buzzanga - Beethoven, ultimi quartetti per archi (II parte)



Quartetto in la minore per archi op. 132, dedicato al principe Nicolas Galitzin, fine 1824 - fine luglio 1825

               [MP3]                                                                     [spartito]


I. Assai sostenuto - Allegro

II. Allegro ma non tanto

III. Canzona di ringraziamento - 
       Molto adagio

IV. Alla marcia, assai vivace - 
     attacca: Allegro appassionato






Ogni forma di contrapposizione fra l’Andante sostenuto e l' Allegro scompare dopo la introduzione; e subentra l’espressione d’uno stato d’animo unico, vibrante dall’uno all’altro momento con intensità diversa. Il tema dell’ Andante sostenuto si innalza dal violoncello al primo violino svolgendosi in piano, con un movimento d’armonie grave ed inquieto che in crescendo conduce all' Allegro ; e insieme con gli elementi vari componenti il primo gruppo tematico di questo (figura di movimento iniziale del violino, frase dolorosa del violoncello proseguita e conclusa dal violino, figura ritmica massiccia di « precipitazione ». discendente nelle quattro voci compatte) ne regge l’esposizione, lo sviluppo, la ripresa e la irruente Coda. Il secondo tema, nei violini (di cui Beethoven ha voluto sottolineare il carattere con l’annotazione dolce, e poi ancora teneramente), adempie ad una funzione distensiva, che per altro ha una durata molto breve, riassorbendosi quasi subito nelle forme di significazione angosciosa dominanti. Le prime due parti del secondo tempo (Allegro ma non tanto) poggiano sopra un tema in sé non particolarmente significativo, ma che acquista negli avvicendamenti tonali e modali, nelle alternative degli unisoni, dei canoni, dei cambiamenti ritmici, una espressione inquieta come una vana ricerca di riposo. 
Ma con l’entrata del Trio si diffonde ed adagia un motivo di Musette [PDF], la campagna è presente, amica fedele nel cui seno il cuore trova sempre un conforto di serenità. Seguitando, il movimento prende la consistenza di un leggero Ländler. Una figura massiccia o « grossolana » accentuata dal passo alla breve che la conclude, intercalato nella misura 3/4 con lo stesso procedimento e con significato analogo a un passo corrispondente del Trio dell’Eroica, e ad un altro simile del Quartetto op. 127 (e che richiama tuttavia anch’esso il tema fondamentale di quattro note), ne arresta solo per un momento l’effusione, che riprende subito dopo e finisce per riposare in molli cadenze pianissimo. Le parole apposte al terzo tempo: Heiliger Dankgesang an die Gottheit eines Genesenen, in der Lydischen Tonart (Canzona di ringraziamento in modo lidico offerta alla Divinità da un guarito) non autorizzano ad inquadrare, circoscrivere o materializzare in un misero avvenimento dell’esistenza comune (la malattia di cui Beethoven aveva sofferto nell’aprile 1824) il significato più vasto, umano e spirituale insieme, della musica. 
La Canzone incomincia con un Molto adagio, nel vecchio modo lidio (un fa maggiore con il si naturale) costituito da una lenta melodia, i cui periodi sono di volta in volta preceduti e commentati da una figura strumentale in imitazioni ad essa inscindibilmente unita.
modo lidio
Un sentimento mistico si diffonde man mano dal complesso armoniosissimo dei quattro strumenti; una preghiera ed una meditazione in cui l’anima sembra distaccarsi veramente dalla terra. Questa elevazione è due volta interrotta da un episodio (Andante, in re maggiore) di diversa fisionomia, a cui è apposta l’indicazione : Neue Kraft fiihlend (sentendo nuova forza) ; come se il corpo volesse richiamare a sé l’anima che già si librava in alto, in un risveglio di impressioni ed affetti umani: prima appena accennati, poi gradatamente più continui ed ardenti. Ma l’ascensione mistica riprende ogni volta con maggior fervore, per comporsi alla fine in un’atmosfera tutta spirituale. Il quarto tempo incomincia con un movimento di marcia che nell’insistenza del ritmo e nella perentorietà degli arresti in tronco sembra voler deliberatamente esprimere il ritorno realistico alla vita. Segue il recitativo: chè tale appare, per quanto l' autore non ve l’abbia scritto, e con un carattere naturalmente ancora più strumentale della Nona, il passo del primo violino che, prima sulla continuazione della marcia Più allegro poi sul battito febbrile di un movimento d’accordi e infine, solo, in Presto (alla breve), esprime alternative di slancio e d’abbandono, per ripiegarsi all’ultimo su se stesso (Poco adagio) in una figura di semitono discendente. Dopo la sosta d’un punto coronato, come il passaggio dall’uno all’altro di certi attimi essenziali e fuggenti, la stessa figura di semitono, nel secondo violino, sopra le altre concomitanti e integranti dei due strumenti inferiori, si stabilizza in una specie di nenia, accompagnando il primo violino che intona il suo canto di malinconia : un Allegro appassionato, il cui spirito corrisponde in forma più liricamente spiegata a quello dei primi due tempi. Il movimento è vivo ma la melodia è triste e agitata, finché all’ultimo il ritorno al modo maggiore e alla semplicità lineare non porta la conclusiva chiarificazione liberatrice. 

Grande Fuga (Grosse Fuge) op. 133 per quartetto d' archi (concepita per il quartetto Op 130) agosto-novembre 1825





                 [MP3]
       Ouvertura - Allegro

 

              [spartito]








Fu consigliato a Beethoven di sostituire questa fuga con un pezzo più leggero, ma si può ben pensare la poderosa pagina come ideologicamente connessa con l’insieme organico, fantastico e delicato a cui era stata destinata originariamente. Naturalmente senza fare violenza alla tipica forma di musica pura che la governa; per quanto Beethoven, con la frase significativa aggiuntavi: tantot libre tantot recherchée, sia venuto a sanzionare gli estremi di una licenza spregiudicata di artista superiore e di una disciplina austera di artefice: fantasia e regola unite in una sfida insieme ai troppo dotti e ai troppo romantici. Per quanto riguarda la Fuga in oggetto, si può pensare, riferendola al quartetto, ad una energica affermazione di vita dopo tanti episodi di sogno : la vita di un potente volitivo che si vendica dei momenti, pure tanto suggestivi e profondi, di dolce abbandono. 



         




                           [MP3]



            



Beethoven, quando separò il movimento dal quartetto op. 130, volle cercare di renderlo sia accessibile al pubblico sia di facilitarne l'attuabilità d'esecuzione. Per realizzare ciò in quegli anni, privi di mezzi per la riproduzione fonografica, elettronica o meccanica, una soluzione possibile sarebbe stata di elaborarne una riduzione per pianoforte a quattro mani; infatti con questa tecnica molte delle opere sinfoniche più complesse furono rese disponibili anche per esecuzioni "domestiche".
L'editore commissionò a qualcun altro la trascrizione, ma Beethoven rimase talmente scontento dell'esito, che egli stesso prese l'impegno di curarne l'adattamento che è oggi il manoscritto pubblicato come op. 134. Trattandosi di lavoro autografo, attraverso lo studio di queste pagine, è possibile capire sia le tecniche



Quartetto in fa maggiore per archi, op. 135, dedicato a J. N. Wolfmayer,1 luglio-ottobre 1826


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                              [MP3]


I. Allegretto

II. Vivace

III. Lento assai, cantante tranquillo

IVDer schwer gefasste Entschluss






Il primo tempo (Allegretto) è nel complesso delle sue varie parti di un tipo nuovo (come espressione), d’un carattere che si potrebbe chiamare « umoristico con grazia ». Certo non troviamo qui la profondità né l’ampiezza espressiva dei quartetti precedenti. C’è un tema che all’inizio potrebbe essere chiamato a simboleggiare — analogamente all’altro (del Finale) che riporta le parole: Muss es sein? — una qualche interrogazione o proposizione tragica, o appello al destino o che altro si voglia immaginare per renderne il carattere grave, pensoso; e invece tutto si risolve nel giuoco di motivi leggeri, polifonicamente delicato: anche nella ripresa, ove tuttavia qualche elemento si fa più consistente, qualche accenno emotivo si amplifica e qualche voce interiettiva si rende più drammatica. Il Vivace incomincia con una frase ritmica dei bassi integrata dai contrattempi dei violini in piano e pianissimo e poi, dopo un’improvviso, strano richiamo in mi bemolle, forte (ricordiamo il subitaneo do diesis succedente a un do naturale, con la stessa alternativa di colorito, nel Finale dell' Ottava sinfonia), ripetuta con inversione di parti, sviluppata con alternative di crescendo, forte, diminuendo fino al pianissimo. Questo sviluppo continua anche nelle parti successive, poiché, per quanto i temi possano apparire a prima vista differenziati, pure una sola è l’idea musicale che si evolve attraverso le varie deduzioni. Dalla formula involuta sopra accennata si dispicca una figura ritmica di lancio in cinque note, che dà l’abbrivo e la guida ad una corsa ripetutamente ascendente, attraverso i toni di sol e di la, per spiegarsi infine quasi orgiasticamente nel ritmo ribattuto per 47 misure, sulle stesse cinque note, dai tre strumenti inferiori in ottava, mentre il primo violino insiste in una figura danzante svolgendola freneticamente. In questo ultimo episodio, in cui si scioglie, per così dire, il nodo concettuale di tutto il tempo, passiamo dal fortissimo, con sformati sui primi tempi di ogni battuta, al forte e poi, verso la fine, diminuendo al piano, sempre più piano, pianissimo, ppp, per ritornare, modulando, alla ripetizione della prima parte. Dell’entrata della melodia del terzo tempo sopra una armonia che prende gradatamente consistenza: si hanno altri precedenti esempi, di pari bellezza, nei tempi lenti del Quartetto op. 127 e della Nona Sinfonia, con la differenza che ivi si tratta della formazione graduale di un accordo di cadenza, dalla risoluzione del quale, con l’entrata della melodia appunto, si forma l’armonia piena e pacifica del tono ; mentre qui l’armonia, che si viene spiegando fin dal principio, è quella di un accordo perfetto (re bemolle maggiore), ciò che aumenta il carattere di immobilità, di quiete assoluta della posizione melodica. Questa si afferma così cantante e tranquilla, di una contenuta dolcezza; a mano a mano si fa più mossa con il suo cromatismo e gli sformati alternati ai piano.
 Un episodio più lento in do diesis minore, esitante, a frasi brevi e sussultanti, che ci ricorda l’Arioso dolente della Sonata per pianoforte op. 110, interrompe il corso della prima effusione. La quale poi ritorna più animata nel suo movimento polifonico per frammentarsi infine nel fraseggio spezzato del primo violino, sostenuto dai tre strumenti inferiori con una grande delicatezza, e spegnersi gradatamente e ritardando.



 Al Finale Beethoven ha apposto il titolo : Der schrnr gefasste Entschluss (La risoluzione presa con difficoltà), spiegandolo nelle parole: Muss es sein? Es muss sein (Deve essere? Sì, deve essere): annotate sotto i due temi rispettivamente del Grave, che serve di introduzione dell' Allegro, che segue immediatamente. Si è molto discusso, forse troppo, sul significato di tali parole e sul loro rapporto con la musica. Il carattere di quest’ultima e il contrasto stesso fra la gravità della proposizione (che, considerata in sé e per sé, potrebbe, come si è accennato in principio, prendersi per una tragica interrogazione al destino; il D’Indy [PDF] nota la somiglianza del tema grave con quello fondamentale della Sinfonia di Franck) e la leggerezza della risposta può far supporre qualche intenzione scherzosa. Le parole e la musica del motto appartengono al canone Es muss sein! di cui al Biamonti numero 834. Il motto potrebbe anche essere messo in relazione con una lettera del 30 ottobre 1826, in cui Beethoven, inviando il quartetto ai banchieri Tendler e Manstein (per la consegna all’editore Schlesinger) chiede il sollecito pagamento dell’onorario pattuito di 80 ducati. Il maestro volle forse fare la caricatura musicale di qualcuna di quelle piccole, fastidiose miserie che tante volte lo tormentavano distogliendolo dall’alto lavoro della creazione.
Don Giovanni
 Il modo con cui il tempo è introdotto, il fatto stesso delle ripetizioni di questa introduzione nel mezzo di esso, e così pure il carattere delle risposte leggere, come si è detto, in contrapposizione con la domanda grave, ci richiamano un altro Finale, quello della malinconia nel Quartetto op. 18 n. 6; ma vi sono in mezzo ventisei anni di vita e d’arte: il contrasto, sotto l’apparente aspetto dello scherzo, è qui più fine e pensoso ed anche forse più malinconico
. E non aveva del resto Beethoven, anche pochi anni prima, incastrato a forza il tema semiserio del Don Giovanni mozartiano : Notte e giorno faticar nella ventiduesima variazione sul valzer di Diabelli [PDF] come una stizzosa parodia della sua tribolata vita quotidiana? 















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