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domenica 23 febbraio 2014

[post4] Giuseppe Buzzanga - Beethoven, ultimi quartetti per archi (I parte)



Le seguenti composizioni sono generalmente conosciute come gli Ultimi quartetti per archi di Ludwig van Beethoven, con inclusa la Grande fuga op. 133 (di cui esiste anche una trascrizione per pianoforte a quattro mani op. 134):
  • Op. 127: Quartetto n. 12 in Mi bemolle maggiore (1825)
  • Op. 130: Quartetto n. 13 in Si bemolle maggiore (1825)
  • Op. 131: Quartetto n. 14 in Do diesis minore (1826)
  • Op. 132: Quartetto n. 15 in La minore (1825)
  • Op. 133: Grande fuga in Si bemolle maggiore per quartetto d'archi (1824 e 1825)
  • Op. 135: Quartetto n. 16 in Fa maggiore (1826)
I quartetti n. 12, 13 e 15 furono commissionati dal nobile russo, amante della musica e mecenate Nikolai Galitzine [PDF], che in una lettera datata 9 novembre 1822 ne propone la realizzazione a Beethoven che accetto e fissò il costo in 50 ducati per ogni quartetto 

Stemma dei Galitzine




“...uno, due o tre nuovi quartetti, per la qual fatica, sarei felice di pagarle quanto lei considera giusto”.




Quartetto in mi bemolle maggiore per archi op. 127, primavera 1822-febbraio 1825


                                 [spartito]

                [MP3]

     I.   Maestoso - Allegro  


     III. Scherzando vivace

     IV. Finale - Allegro







Il quartetto inizia con un breve Maestoso, affermazione di un principio espressivo che potremmo chiamare « di autorità ». Segue a risposta l’Allegro (teneramente) basato sopra due temi flessuosi e di carattere analogo, come se il secondo fosse la continuazione o il raffinamento del primo. 

Al principio dello sviluppo, in cui questi temi appaiono sempre sintetizzati e compenetrati l’uno nell’altro, e nella ripresa il Maestoso ritorna in forma più breve ma in tonalità sempre più alte. Il tempo termina con una graduale dispersione dei due elementi. incomincia con una lenta, graduale sovrapposizione delle note di una armonia cadenzale dal violoncello alla viola, al secondo e al primo violino, risolvente in un accordo pieno, profondamente dolce di la bemolle maggiore. Per la terza volta nei quartetti si incontra un tempo svolto nella forma del tema con variazioni; ma fra esso e i due precedenti, l' Andante cantabile dell’op. 18 n. 5 e il Finale dell’ op. 74, c’è una grande differenza. Nella prima variazione il tema appare già trasformato in una animazione più fervida, per la leggera modificazione melodica e la vivificazione di movimento delle parti, pur restando sostanzialmente nel suo carattere contemplativo. La seconda (Andante con moto) si svolge in un tenero intreccio dei violini sul battito di accordi staccati della viola e del violoncello; la terza (Adagio molto espressivo, mi maggiore) ha un carattere di trascendenza mistica; la quarta (Tempo primo) riprende in parte la figurazione della prima, dandole peraltro una differente fisionomia strumentale. La quinta, condotta da un passaggio di 13 battute in do diesis minore sulla base della figura di cadenza del tema, si espande in un movimento lineare di sestine che ricorda in qualche punto dell' Adagio [mp3] della Nona Sinfonia. Una Coda, che dà adito anch’essa a qualche confronto con la parte finale dell’Adagio della Nona, richiama elementi della quarta variazione. Lo Scherzando vivace, introdotto da quattro accordi staccati in pizzicato, ha per nucleo tematico delle sue due prime parti un inciso ritmico alternativamente sfuggente e insinuante, con improvvisi arresti, sussurri, stasi e differenti articolazioni, nel quale si intromettono ad un certo punto le poche battute « grossolane » di un Allegro 2/4. 

Il Trio (Presto, mi bemolle - re bemolle maggiore) ricorda egualmente lo Scherzo dell’Eroica, e anche quelli della Nona Sinfonia e del Quartetto op. 130; né vi mancano pennellate di realismo pittoresco accentuato dagli accordi in sformato in una costante alternativa ritmica dei tre strumenti inferiori che accompagnano il pritno violino richiama forme di carattere haydniano, ricreate e rivissute però nello spirito e nella materia ritmica e armonica delle ultime opere di Beethoven: gioviale, talora rustico e non senza qualche ruvidezza, dopo tanti abbandoni di fantasia. L’Allegro comodo che conclude è come un colpo d’ala per lo scarto episodico della nuova luce tonale di do maggiore e la successiva elevazione e nobilitazione melodica del tema, riportato nel tono originale.



Quartetto in si bemolle maggiore (con fuga finale), per archi, op. 130, agosto-novembre 1825

                              [spartito]                                  
                                               [MP3] 
                
     I.    Adagio ma non troppo

     II.   Presto

     III.  Andante con moto ma non troppo

     IV.  Alla danza tedesca, Allegro assai

     V.  Cavatina, Adagio molto espressivo

     VI. Finale, Allegro





L’omogeneità dello spirito animatore infonde nella varietà dei sei movimenti il senso di una rara unità concettuale e musicale. Il contrasto che nel primo tempo si crea fra la gravità dell ’Adagio non troppo e la leggerezza dell' Allegro rappresenta un quid medium tra l’intensità espressiva dei primi tempi dei Quartetti op. 127 e op. 132 e l’umorismo dell’op. 135. La complessa costituzione dell ’Allegro (figurazione di movimento del primo violino su quella ritmica del secondo; tema collaterale derivato da una trasformazione in senso espressivo del primo) si oppone reiteratamente al principio grave, che torna a riaffacciarsi più volte. Le compenetrazioni tematiche danno luogo a modificazioni ed intrecci diversi di tutti i suddetti elementi, che nell’avvio alla ripresa appaiono combinati insieme e nella conclusione vengono pacificamente composti. Il secondo tempo (Presto): proietta nel cerchio di luce temperata, nel quale prevalentemente il Quartetto si svolge, un’ombra romantica. Il terzo tempo: si sviluppa in una atmosfera cristallina, sterilizzata, potremmo dire, da ogni perturbazione passionale; un fine frastaglio polifonico avvolge il suo periodare a brevissime frasi la cui reiterata terminazione in tronco si potrebbe paragonare ad una mossa replicata ad intervalli con una certa ostinazione quasi per chiudere l’adito ad ogni effusione maggiore. È forse questo il tempo in cui riesce più difficile trovare altro significato che non sia quello di gioco musicale puro e semplice. Non certo arido, però, guardato da un punto di vista superiore.
Vienna, Prater

Il quarto tempo (Alla danza tedesca): è una delle tante ispirazioni attinte da Beethoven alle danze viennesi da lui sentite (quanto glielo permetteva la sordità) e vedute nei ritrovi del Prater; forse ancora più gustate in seno a quelle comitive di suonatori che le eseguivano nei ritrovi campestri, e per i quali egli scrisse anche, pare, qualche piccola pagina. Negli ultimi anni soprattutto Beethoven ricorre a queste fonti popolaresche nella loro forma più genuina, talvolta forzandone qualche elemento tipico, talaltra ostinandosi in certi ritmi, come a sfogarvi una volontà di gioia per forza. Ma nel caso attuale si tratta di una visione gentile e serena. La Cavatina, a quanto ci è stato tramandato, era una delle pagine che Beethoven aveva più care, Il titolo accenna ad una vocalità e quindi ad una volontà di espressione più umana e parlante, in un carattere che si potrebbe definire « sobriamente — o riservatamente — inquieto ». La melodia vi ha varietà, libertà, modernità di aspetti, se la si confronti con i più comuni tipi del periodare cantabile beethoveniano. Alcuni atteggiamenti e le forme di eco o di ritornello delle tre voci inferiori al canto del violino richiamano un procedimento dell' Adagio della Nona Sinfonia. Da notare la sottigliezza elegante della trama polifonica, subordinata al risalto dell’elemento melodico principale, e la delicatezza della conclusione. Il Finale che il quartetto ha attualmente, e del quale si dà notizia in seguito, non è quello originariamente pensato e scritto da Beethoven a conclusione dell’opera, cioè la Grande Fuga. Fu consigliato a Beethoven di sostituire questa fuga con un pezzo più leggero, ma si può ben pensare la poderosa pagina come ideologicamente connessa con l’insieme organico, fantastico e delicato a cui era stata destinata originariamente. Naturalmente senza fare violenza alla tipica forma di musica pura che la governa; per quanto Beethoven, con la frase significativa aggiuntavi: tantot libre tantot recherchée, sia venuto a sanzionare gli estremi di una licenza spregiudicata di artista superiore e di una disciplina austera di artefice: fantasia e regola unite in una sfida insieme ai troppo dotti e ai troppo romantici. Per quanto riguarda la Fuga in oggetto, si può pensare, riferendola al quartetto, ad una energica affermazione di vita dopo tanti episodi di sogno : la vita di un potente volitivo che si vendica dei momenti, pure tanto suggestivi e profondi, di dolce abbandono. Una breve introduzione o Overtura, come la chiama lo stesso Beethoven: espone il tema principale nelle sue varie forme : la prima « simile ad un colonnato massiccio che sostiene il portico », dice il Rolland [PDF] (A) ; poi un’altra in valori più brevi con un ritmo balzante (B); poi un movimento più largo (Meno mosso e moderato) (C) accompagnato da una fantasiosa figura di semicrome, dal quale si svilupperà la seconda fuga; infine (Allegro) una figurazione di crome ripetute e legate. Poi si inizia la prima fuga, basata per altro su un tema differente, impetuoso, martellato, a cui il tema principale, nella forma dell' Allegro suddetto, fa soltanto da controsoggetto, restando sempre sottoposto ad esso durante il lungo svolgimento. Un cambiamento di tempo e di tono (Meno mosso e moderato, re bemolle maggiore) pone termine a questa fuga con l’entrata e lo sviluppo della figura di semicrome, la quale porta nel quadro finora tanto violento una nota di poetica fantasia, mentre sotto di essa prende a svolgersi, in principio senza un particolare rilievo, il tema principale nella forma (C). Ma tutto ciò non è che il principio della seconda fuga (Allegro molto e con brio, in si bemolle), questa volta con il tema principale nella forma (B) come soggetto. Il tema della prima fuga sembra momentaneamente dimenticato, ma infine torna anch’esso a riaffacciarsi e a riunirsi variamente agli altri. Come in un rapido ricordo sono ancora fuggitivamente richiamati nelle loro forme originarie il tema impulsivo della prima fuga e quello tenero (C), poi viene l’energica conclusione. 



Quartetto in do diesis minore per archi, op. 131, dedicato al barone von Stutterheim, dicembre 1825 - prima metà di agosto 1826


        [MP3]                                                                           [spartito]

I -    Adagio ma non troppo 
         e molto espressivo

II -   Allegro molto vivace

III - Allegro moderato

IV - Andante ma non troppo

V - Presto

VI - Adagio quasi un poco andante

VII - Allegro






Joseph
von Stutterheim
Il Quartetto era destinato all’amico Wolfmayer ; ma all’ultimo momento Beethoven cambiò idea, scrivendo all’editore in data 10 marzo 1827 (sedici giorni prima della sua morte) di stampare l’opera con la dedica al feldmaresciallo barone Joseph von Stutterheim [PDF] che aveva accettato nel suo reggimento « Arciduca Lodovico » di Iglau il nipote Karl. Al Wolfmayer fu poi dedicato il Quartetto op. 135.
I sette movimenti di cui l’opera consta (da eseguirsi ininterrottamente, secondo un’altra annotazione dell’autore) appaiono ideologicamente collegati nella coordinazione degli elementi espressivi musicali che li sostanziano. Alla melanconia ascetica del primo fa riscontro l’impeto fervido dell’ultimo, attraverso la calda melodiosità dell’Andante ; alla fantasia romantica un po’ nebulosa del secondo risponde quella più luminosa, viva e colorata del quinto (Presto).  Nell ’Adagio ma non troppo si alternano ed intrecciano espressioni appassionate, voci di anelito e di rassegnazione, in una specie di preghiera che si eleva a volte ad altezze mistiche, per concludere in una serie di cupi accordi, risolventi nel lungo unisono di do diesis da cui prende infine le mosse l’Allegro molto vivace. Il tema ritorna, in aspetto abbastanza riconoscibile, nel Finale; costituisce un episodio di leggerezza che separa adeguatamente i movimenti di maggiore consistenza: l' Adagio iniziale e l' Andante con variazioni che segue. Precede l’Andante, che è il più sviluppato dei sette movimenti, una breve introduzione (Allegro moderato). di carattere interrogativo e conciso come un recitativo di melodramma, e tuttavia d’una fisionomia e d’una struttura tutta strumentale nel fraseggio che si trasmette dall’uno all’altro strumento e resta sospeso in una breve cadenza del primo violino.

Giovanni Battista Pergolesi
Poi il tema viene enunciato dagli strumenti superiori: ed è pure d’una fisionomia e d’una snellezza che si potrebbero chiamare italiane; si pensi per un momento al "Quae moerebat" dello Stabat Mater [PDF] (testo e traduzione [PDF]) di PergolesiAndante ma non troppo e molto cantabile. Segue la serie delle variazioni. Alla fine della Coda si annuncia energicamente in forte, dopo una breve pausa, l’accordo di mi maggiore snodato in conciso arpeggio di quattro note del violoncello. 
















A questo brusco appello per un istante come sospeso nel vuoto — e che già ne fissa l’impulso tematico — si allaccia il Presto, movimento vivacissimo che si afferma subito nella sua fisionomia per metà delicata e per metà ruvida, tipicamente beethoveniana. I temi scorrono attraverso richiami, riprese, soste improvvise, giochi di ritmi e di timbri, abbandoni di frasi piacevoli o paesanamente gioiose, svanendo alla fine come il trasvolare di impalpabili creature fantastiche. Il Finale (Allegro) è introdotto da un Adagio quasi un poco andante, in sol diesis minore, d’una penetrante espressione dolorosa fatta ancor più sensibile nel timbro della viola che ne enuncia il tema, l' Allegro è il formidabile coronamento di tutto il Quartetto. La fervida aspirazione del primo tempo si trasforma qui, non senza analogie di nuclei tematici in un impeto a cui non disdice la denominazione di eroico. 



















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